Liberi da Ansia, Panico, Fobie, Depressione e Stress

Liberi da Ansia, Panico, Fobie, Depressione e Stress
Quando apri gli occhi al mattino, siediti tranquillo per un attimo e apprezza il dono di un nuovo giorno, crea un pensiero sereno per portarlo nei momenti del giorno che stai attraversando. Trasforma questo mattino in opportunità di affrontare al meglio la giornata, con un sorriso, forza e desiderio di fare. Ora alzati e vai grande della tua serenità, forte della tua grinta.

domenica 6 ottobre 2013

Ansia connessa allo stato di salute. Ovvero: l'Ipocondria

Caratteristica principale dell'IPOCONDRIA è il credere all'erronea interpretazione di segni o sintomi fisici, riferendoli all'avere o al fatto di sviluppare una grave patologia, seppur senza una valutazione medica che giustifichi tali timori. La convinzione di avere una malattia non è sì grave e non diviene (quasi mai) un delirio vero e proprio poiché il paziente è conscio dell'esagerazione dei suoi timori e di non avere - di fatto - alcuna patologia. Tuttavia, la preoccupazione causa un considerevole disagio che - per fare diagnosi di ipocondria - deve sussistere per almeno 6 mesi (DSM-IV). Le rassicurazioni mediche non riescono a dissipare tali paure ingiustificate. In ogni caso, alcuni ipocondriaci ricorrono al loro medico curante mentre altri, per la paura generalizzata di tutto ciò che è in relazione a malattie fisiche, tendono ad evitare contatti con specialisti e informazioni sanitarie. Ricercare le rassicurazioni può divenire, talvolta, una continua consultazione di esperti pur senza averne un effettivo bisogno. L'ipocondria può verificarsi con un disturbo di attacchi di panico e, la gravità del disturbo, può fluttuare giornalmente o mensilmente: fasi acute possono essere intercalate a periodi in cui il livello di disagio è alquanto contenuto. Nei pazienti con tale tipo di ansia riguardante lo stato di salute, la rassicurazione medica ha l'effetto immediato di ridurre i disagi e le preoccupazioni: effetto che è, però, transitorio e dura poche ore o giorni.

lunedì 15 luglio 2013

Crisi di pianto



Si tratta di un sintomo molto diffuso che sconvolge profondamente la persona che ne soffre generando insicurezza, malessere, senso di inutilità, spossatezza e malumore. La persona, infatti, si sente turbata e, talvolta, incapace di comprendere le reali motivazioni del suo disagio.

Quando e perché si verificano?

Si possono verificare in conseguenza di diverse situazioni, stati dell’umore o patologie. 
Le seguenti cause sonno quelle tra le  più comuni:
  • Depressione: La tendenza al pianto è uno dei tanti sintomi che si possono verificare nel corso di un episodio depressivo. Questo è caratterizzato, anche, da malinconia, sfiducia per il futuro, senso di colpa, svalutazione, pensieri di morte, affaticamento, riduzione dell’energia, rallentamento dei movimenti, basso tono della voce, mimica scarsa, difficoltà di concentrazione, disturbi della memoria, ipocondria, disturbi del sonno, perdita di ogni interesse, disturbi psicomotori, trascuratezza dell’igiene personale, riduzione dell’appetito, calo/aumento del peso corporeo, compromissione del funzionamento sociale e lavorativo.
  • Stress: Gli eventi stressanti che si protraggono per periodi troppo lunghi possono, talora, portare ad un vero e proprio crollo psicologico durante il quale le crisi di pianto divengono espressione profonda dell'oppressione, causata da ritmi di vita talvolta insostenibili e sproporzionati rispetto alle proprie disponibilità energetiche.
  • Traumi: Un trauma si verifica quando si vive un evento di particolare gravità, che prova la tranquillità ma anche il benessere psico-fisico della persona. Il pianto improvviso in seguito a particolari episodi traumatici, comunica un vissuto doloroso non ancora elaborato che merita accoglimento, attenzione e ascolto.
  • Ansia: La facilità al pianto è uno dei sintomi che caratterizzano l’ansia patologica, accompagnata sovente da angoscia, nervosismo, preoccupazione, disturbi del sonno, timore che possa accadere qualcosa di grave. Chiedere l'intervento di uno specialista è importante al fine di comprendere la natura stessa dell'ansia e iniziare un  percorso per risolvere il problema.
  • Problemi di autostima: La scarsa considerazione di sé e delle proprie capacità e la nulla accettazione dei propri limiti fa sì che ci si senta incapaci di risolvere situazioni anche quotidiane e/o i problemi che si possono incontrare. La consulenza di uno psicologo, in questo caso, aiuta  a comprendere i propri blocchi interiori e a far chiarezza sulle proprie insicurezze.
  • Lutto: La perdita (di una persona cara così come quella di un animale) è sicuramente un’esperienza drammatica, caratterizzata da disperazione, malinconia, umore depresso e crisi di pianto. Ciascuno ha un modo personale di elaborare tale dolore e tempi diversi. Tuttavia, se dopo un anno dalla perdita stessa il dolore non subisce alcun cambiamento e il lutto continua ad incidere sulle attività quotidiane (casa, lavoro, famiglia, amici, ecc..), rivolgersi ad un professionista è indispensabile per affrontare e risolvere il problema.
  • Delusioni d'amore: Le delusioni nelle relazioni di coppia rendono vulnerabili e il pianto diviene una sua evidente manifestazione. In tali casi lo psicologo-psicoterapeuta, è fondamentale per prendere consapevolezza delle dinamiche disfunzionali personali che tengono vivo - interiormente - un amore finito; è, inoltre, utile al sostegno delle problematiche legate alla sfera affettiva, attraverso un percorso di cambiamento, orientato al proprio benessere psichico ed emotivo.
  • Gravidanza: le crisi di pianto si verificano molto frequentemente in gravidanza, anche per i cambiamenti ormonali che la donna subisce in tale delicata fase. In tal caso, condividere ciò che si sta vivendo (emozioni, sensazioni, pensieri) con le persone care o con uno specialista, è basilare per evitare che tale disagio sfoci in depressione.

lunedì 8 luglio 2013

Modelli cognitivi dei Disturbi d'Ansia

Il disturbo d'ansia è un disturbo emozionale quale disfunzione derivata dall'interpretazione disfunzionale dei singoli eventi che contribuisce al mantenimento del problema emozionale stesso.
I pensieri irrazionali sono fonte del disturbo emozionale e delle sue conseguenze comportamentali. Tali pensieri constano, essenzialmente, negli imperativi (DEVO) comandi e presupposti che portano ad elaborazioni illogiche e a disturbi emozionali.
Le credenze che predispongono a reazioni emotive negative, sono diverse e la conseguenza può essere la seguente: 
"Una persona deve essere perfettamente competente per essere considerata meritevole; una persona deve essere amata e rispettata dalla maggioranza degli individui della comunità in cui vive".
Questi sono esempi di credenze spesso rinforzate dalla società e dalle convinzioni personali. Per molti autori ansia e depressione sono associate a distorsioni del pensiero e danno luogo a processi disfunzionali che si manifestano con un flusso di pensieri automatici negativi.
Un flusso che riflette le convinzioni e assunzioni fondanti la memoria della persona, quali rappresentazioni stabili (schemi).
Nel momento in cui tali schemi sono richiamati influenzano l'elaborazione dell'informazione, modellando le esperienze e condizionando il comportamento dell'individuo. Lo stesso comportamento e pensiero della persona ansiosa è definito superficialmente "irrazionale": tuttavia, deriva logicamente da convinzioni e credenze esistenti. 
I difetti nell'elaborazione delle informazioni dei disturbi emozionali, sono evidenziati da credenze, distorsioni cognitive e pensieri automatici negativi della persona stessa.



lunedì 1 luglio 2013

Sindrome da Abbandono


La Sindrome di Abbandono può riguardare un abbandono reale o carenze affettive. Le conseguenze psicologiche, tuttavia,  sono più o meno rilevanti secondo l’età del soggetto.
I bambini che soffrono della Sindrome di Abbandono possono presentare ritardi psicomotori, facilità ad ammalarsi, abulia, periodiche crisi di ansia, gelosia e aggressività. Le cause determinanti della sindrome da abbandono sono la morte di uno dei genitori, litigi familiari, mancanza di cure, freddezza della madre, nascita di un fratello.
Nella  persona adulta, tale sindrome si manifesta con stati di depressione grave che possono portare al suicidio, oppure con stati di aggressività accompagnati da collera, talora sino al delirio. Possono soffrire di sindrome di abbandono gli anziani abbandonati a se stessi, le ragazze-madri, le persone tradite nei loro affetti. In tutti i casi in cui tale sindrome si manifesta è indicata una psicoterapia.

Ma cosa significa essere sensibili al rifiuto percepito, spesso correlato al Disturbo Borderline di Personalità?



L’ipersensibilità al rifiuto è la tendenza ad essere eccessivamente destabilizzati dalla percezione di qualsiasi forma di rifiuto sociale, sia in contesti di relazioni di coppia sia in contesti di gruppo.

L’ipersensibilità al rifiuto, nei casi più gravi, può essere associata al  disturbo di personalità borderline, risultando comunque debilitante (per chi ne soffre), anche nelle situazioni meno compromesse.
Tali persone, spesso, percepiscono un rifiuto laddove altri soggetti non lo riscontrerebbero. Ad esempio, sono soliti pensare “Non mi ha risposto al messaggio perché io non valgo nulla per lui/lei”. Queste riflessioni sono, a ben vedere, foriere di ansia e stress.
Per contro, colui/colei con una marcata sensibilità al rifiuto, sviluppa la tendenza ad evitare o a patire quelle situazioni che potrebbero sfociare in un rifiuto sociale, ad esempio sentendosi molto tese nel chiedere ad un ragazzo/a di uscire o all’idea di dover conoscere gente nuova. L’anticipazione dell’evento stressante può portare ad una profezia che si autoavvera, ove la persona agisce in maniera strana creando così lei stessa la situazione in cui sarà rifiutata, confermando così le sue paure.
E, nel caso in cui vi siano realmente rifiutate, costoro hanno la tendenza a reagire in maniera esagerata, a volte violenta, non soltanto in contesti di relazioni affettive, ma anche di tipo amicale, di collaborazioni lavorative e in altre forme di interazione sociale.

SERVIZIO DI SOSTEGNO PSICOLOGICO A DISTANZA



Ora non ci sono più giustificazioni per continuare a stare nel malessere, grazie al servizio di

“ASCOLTO E SUPPORTO PSICOLOGICO A DISTANZA”

della Dott.ssa Donatella Ghisu 

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E’ uno spazio di ascolto, con lo scopo di accogliere, in modo qualificato e tempestivo, le richieste dei soggetti che attraversano momenti di crisi, di disagio e sofferenza; costoro, in tal modo, possono trarre beneficio dal confronto con una professionista competente nel  sostegno psicologico, nell’orientamento e nell’informazione.
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domenica 30 giugno 2013

Disturbi d'Ansia


Premessa di base delle teorie cognitive intorno ai disturbi d’ansia è che si tratti di una disfunzione legata all’interpretazione personale dei singoli eventi. I comportamenti connessi a tale interpretazione personale contribuiscono a mantenere e implementare il problema emozionale e, dunque, il disturbo stesso.
L’approccio di Ellis (1962) fonda sul principio secondo il quale i pensieri irrazionali sono la fonte del disturbo e delle sue conseguenze comportamentali. I pensiero irrazionali consistono inimperativi (“devo”), comandi e presupposti che portano ad elaborazioni illogiche a disturbi emotivi.
Ellis afferma: “Una persona deve essere perfettamente competente per essere considerata meritevole; deve essere amata e rispettata dalla maggioranza degli individui della comunità in cui vive”. Tali credenze predispongono a reazioni emotive negative e, poiché tali credenze sono spesso rinforzate dalla società e dalle convinzioni personali nonché avere una base ereditaria, vanno sicuramente sfidate nelle sedute psicoterapeutiche.
Beck (1967, 1976) afferma che ansia e depressione si accompagnano a vere e proprie distorsioni del pensiero. Un tale processo disfunzionale si manifesta con un flusso di pensieri automatici negativi che riflettono le convinzioni e le assunzioni che le sottendono e che sono immagazzinate nella memoria della persona. Convinzioni e assunzioni che divengono rappresentazioni stabili della conoscenza personale chiamati “schemi”.
Nel momento in cui tali schemi sono attivati influiscono con l’elaborazione delle informazioni, modellano le loro interpretazioni e condizionano il comportamento conseguente. Anche se il comportamento e il pensiero dell’individuo del soggetto ansioso può essere irrazionale deriva sicuramente da logiche e convinzioni realmente esistenti. I difetti di elaborazione delle informazioni nei disturbi emotivi, si riverberano nelle credenze, nelle distorsioni cognitive e nei pensieri automatici negativi del paziente.

Nel disturbo d’ansia, il difetto dell’elaborazione delle informazioni che causa la vulnerabilità e la persistenza dell’ansia stessa, può essere sia una preoccupazione o “fissazione” sul concetto di pericolo, sia una sottovalutazione delle capacità individuali di farvi fronte.
La tematica del pericolo è quella che è sempre presente negli schemi ansiosi così come nei pensieri automatici negativi.
La sovrastima del pericolo così come la sottostima della capacità di farvi fronte, attivano i cosiddetti “schemi di pericolo”: attraverso questa attivazione, le persone con disturbo d’ansia, vivono la realtà esterna come estremamente pericolosa e il proprio sé come estremamente vulnerabile e incapace a fronteggiare tutto ciò.
Nel momento in cui è attivata la valutazione del pericolo si innesca un circolo vizioso che va a rinforzare, a sua volta, le stesse manifestazioni ansiose. Gli stessi sintomi, infatti, sono fortemente minacciosi: possono condizionare il comportamento della persona ed essere, nel contempo, interpretati come segnali d’allarme per la presenza di un disturbo fisico o psicologico.
Tali effetti non fanno altro che accrescere il senso di vulnerabilità e impotenza dell’individuo rinforzando, di conseguenza, la reazione ansiosa iniziale – e anzi, motivandola – inducendo a risposte disfunzionali che, a loro volta, esasperano ancora di più la valutazione del pericolo.

Gli schemi maladattivi sono costituiti da convinzioni e assunzioni. Le prime sono affermazioni incondizionate sul sé e il mondo come: “Sono un perdente”, “sono una persona di poco valore”, “sono un debole”. “sono un essere inferiore”. Le assunzioni, invece, rappresentano connessioni tra eventi esterni e le opinioni della persona stessa, come: “se mi faccio vedere ansioso, le altre persone penseranno che sono un debole”, “avere pensieri negativi significa essere persone negative”, “sintomi fisici poco chiari sono solitamente segni di una malattia molto grave”, “se non riesco a controllare il mio stato d’ansia sono un completo fallimento”.
Le convinzioni, quindi, sono espresse con affermazioni categoriche su di sé o il modo (“sono un perdente”); le assunzioni, invece, sono esplicitate con frasi “se-allora” (“se mostro segni d’ansia, allora tutti mi eviteranno”).
Gli schemi caratterizzanti i disturbi emotivi sono più rigidi, concreti e inflessibili di quelli propri degli individui sani. Gli schemi dell’ansia contengono convinzioni e assunzioni riguardanti temi di minaccia per l’individuo e le sue capacità di fronteggiarla. Disturbi come l’attacco di panico, la fobia sociale, il disturbo d’ansia generalizzata, riguardano modalità valutative che alimentano il disturbo stesso.
Nell’ansia generalizzata, ad esempio, si ritrovano: rimuginazione cronica, convinzioni relative alla propria incapacità di fronteggiare l’evento, nonché pensieri positivi e negativi relativi al processo di rimuginazione.
Nell’attacco di panico, invece, il paziente interpreta erroneamente le proprie sensazioni corporee come fossero indizi di imminenti disgrazie; predominano valutazioni e assunzioni sulla natura minacciosa dei sintomi ansiosi e dei segnali corporei.
Nelle fobie specifiche, l’individuo associa una situazione o un certo oggetto, ad una forte sensazione di pericolo e paura creando dentro di sé scenari negativi che potrebbero presentarsi rispetto un evento specifico.
Nell’attacco di panico, ad esempio, le interpretazioni erronee possono essere indipendenti da un attacco di panico precedente, ma essere conseguenza del modo in cui l’attacco stesso, è stato inizialmente affrontato. Infatti, se il soggetto è portato a credere che l’attacco di panico è associato a eventi negativi (ad es., uno svenimento) o si trova a gestire informazioni contrastanti sul proprio stato di salute, le convinzioni e credenze maladattive possono sicuramente strutturarsi.
Nell’ansia generalizzata, i pazienti hanno pensieri positivi o negativi sul proprio processo di rimuginazione. Le assunzioni possono, talvolta, derivare da un unico evento del passato, mentre le assunzioni sono il risultato di tentativi ripetuti di controllare, invano, le proprie rimuginazioni.
Nella fobia sociale, i pazienti utilizzano comportamenti sufficientemente congrui rispetto alle situazioni, ma sviluppano convinzioni negative sulla loro identità sociale in seguito ad insuccessi relativi al trovare un personale ruolo sociale. In alcuni casi le credenze negative sulla propria identità sociale sono croniche e possono associarsi a sentimenti di timidezza e vergogna vissuti dall’infanzia.

Nell’ansia, le assunzioni personali influiscono sul modo di giudicare le esperienze e gli eventi esterni condizionando così il comportamento del soggetto. Un paziente normalmente ansioso, infatti, che ha l’assunzione “gli altri non ti prendono sul serio se ti fai vedere ansioso”, può arrivare a concludere “devo cercare di nascondere il più possibile le mie paure”; un atteggiamento di tal fatta può portare all’autoconvincimento secondo il quale “parla poco e cerca di apparire rilassato”. Le risposte comportamentali che derivano da convinzioni erronee e interpretazioni disfunzionali portano, perlopiù, a mantenere le convinzioni, le valutazioni del pericolo e le assunzioni stesse.


Ellis A. Raison and Emotion in Psychotherapy, New York: Lyle Stuart (1962)
Beck A. T., Depression: Causes and Treatment, Philadelphia, PA: University of Pennsylvania Press (1967)
Beck A. T., Cognitive Therapy and the Emotional Disorders, New York: International Universities Press.


sabato 29 giugno 2013

Ansia e Pensieri negativi



L’ansia rappresenta un campanello d’allarme che viene attivato nel nostro corpo in caso di pericolo.
Il problema si presenta quando vediamo pericoli esterni in ogni cosa.
La prima cosa che si riscontra in caso di ansia sono le sensazioni fisiche: difficoltà respiratorie, nodo allo stomaco, dolore al petto...
Tuttavia, prima che il segnale di allarme arrivi al cervello, si insedia un pensiero automatico, quasi  inconsapevole.

Facciamo un esempio: mi siedo davanti al pc perché ho molto lavoro in sospeso e poco prima che si avvii il programma inizio a sentirmi male (il respiro si fa corto, lo stomaco si stringe...). Cosa succede? Cosa ha scatenato questa reazione? Senza nemmeno rendermene conto mi si è fissato un pensiero in testa: "mamma mia quanto lavoro mi rimane da fare, oggi non lo finirò di sicuro". Questa idea di non riuscire a fare le cose e non riuscire a concludere il lavoro in sospeso ha fatto comparire l’ansia. E che ne facciamo solitamente dell’ansia? Cerchiamo di metterla a tacere. Accendiamo la radio, ci alziamo a mangiare qualcosa, fumiamo una sigaretta.

Per alcuni giorni si può fare questo esercizio:
Ogni volta che ti senti ansioso, cerca di riavvolgere e individuare i pensieri che ti hanno assalito: "Non posso farcela", "Ho l’assillo", "Non mi riesce"...
Fatto questo, è bene focalizzarsi su un pensiero alternativo che ti trasmetta il messaggio contrario e, dunque, positivo:
"Poco per volta; per ora mi concentro su questa cosa, poi procedo con la seguente. L’ho fatto altre volte quindi ce la farò anche oggi". Può anche essere utile scrivere su un foglio suddiviso in due colonne, il pensiero negativo e, accanto, quello positivo completamente opposto al primo. Fatto questo, si può leggere ad alta voce per un minimo di 3 volte, il pensiero negativo per poi ripeterlo guardandosi allo specchio.

Normalmente esiste la tendenza a farsi dei pensieri che contengono messaggi estremamente negativi e catastrofici che paralizzano e demoralizzano.

La cosa importante è individuare tali pensieri ansiosi e offrirsi un’alternativa più positiva e tranquilla prima che si risvegli la risposta ansiosa e, in tal modo, ricuperare il controllo della situazione.

Coraggio, funziona!






Attacchi di Panico: trattamento integrato con EMDR e Psicoterapia


L’EMDR (eyes movement desensitation and reprocessing) è un approccio incentrato sul paziente che permette al terapeuta di facilitare il meccanismo di auto-guarigione del paziente, stimolando un sistema innato di elaborazione di informazioni nel cervello. Il modello EMDR riconosce la componente fisiologica delle difficoltà emotive ed affronta direttamente queste sensazioni fisiche, insieme alle convinzioni negative, agli stati emotivi e ad altri sintomi disturbanti. E’ un metodo terapeutico a base fisiologica, che aiuta le persone a sentire il ricordo di esperienze traumatiche in modo nuovo e meno disturbante.

Negli Attacchi di Panico la prima esperienza traumatica, insieme a quelle successive del “panico” , che innescano quel “circolo vizioso” che porta alla “paura della paura”, è talmente vivida e presente nella mente della persona con immagini, ricordi e sensazioni da condizionarne la vita, attivando quel continuo “stato di allarme”, in cui la percezione della realtà e del pericolo è alterata.

Un attacco di panico si può definire come un periodo preciso di intensa paura o disagio, che si sviluppa improvvisamente e raggiunge il picco nel giro di 10 minuti, accompagnato da almeno 4 dei seguenti sintomi: dispnea , vertigini, palpitazioni, tremori, sudorazione, sensazione di asfissia, nausea, dolori addominali, depersonalizzazione , torpore, formicolio, vampate di calore, brividi, dolore al petto, paura di morire, paura di impazzire o di perdere il controllo.




Dopo i primi attacchi di panico (la persona deve avere avuto almeno 2 attacchi di panico inaspettati, seguiti da almeno un mese di preoccupazione dovuta alla paura di averne un altro) la “paura di stare male” è tale che anche la presenza di un solo sintomo (es. vertigine, tachicardia, ecc.) può innescare la “paura della paura” che porta all’attacco di panico. Alcune sensazioni corporee vengono percepite come molto più pericolose di quanto non lo siano in realtà e di conseguenza vengono interpretate come segnali di un’imminente ed improvvisa catastrofe; queste “interpretazioni catastrofiche” possono derivare non solo dalla paura, ma anche da una varietà di altre emozioni (es. la rabbia) o da stimoli di altra natura (es. caffeina, sforzo fisico,ecc.) e alla fine il circolo vizioso culmina in un attacco di panico (Clark, 1986).
Per disinnescare il “circolo vizioso” che porta all’attacco di panico il modello cognitivo-comportamentale è quello più accreditato, in base alle evidenze scientifiche e si dovrebbe porre come il trattamento di scelta nel disturbo di panico, perché è il solo trattamento psicologico di provata efficacia sperimentale (William J., Lyddon, John V. Jones, 2002). Sembra che l’efficacia sia equivalente e talora superiore a quella della farmacoterapia (Clum, 1989; Michelson e Marchione, 1991), senza considerare che l’uso del farmaco induce sempre a pensare che ogni risultato, miglioramento sintomatico sia da attribuire al farmaco e non a se stessi.
Molte ricerche controllate hanno dimostrato che quasi tutti i pazienti sottoposti a terapia cognitivo-comportamentale migliorano e ben il 90% non ha più sintomi di panico alla fine di una terapia breve (William J., Lyddon, John V. Jones, 2002).


Liberi da ansia, attacchi di panico, fobie e depressione: I Disturbi d'Ansia

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